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Faletti in fin di vita disse: “Dovevo morire 12 anni fa, sono stato fortunato”

Roberta Bellesini, moglie di Giorgio Faletti, parla per la prima volta della morte di suo marito in una lunga intervista, in edicola da questa settimana nel numero 30 di Vanity Fair: “Mi diceva: ‘Sarei dovuto morire nel 2002, ho fatto le cose a cui tenevo di più”.
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"Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni". Roberta Bellesini, moglie di Giorgio Faletti, parla per la prima volta della morte di suo marito in una lunga intervista, in edicola da questa settimana nel numero 30 di Vanity Fair. Restituisce un ricordo dello scrittore e attore molto sentito e sincero, un uomo che si considerava il "più fortunato del mondo" per essere riuscito a guarire da un ictus che lo colpì nel 2002, che ha accettato la malattia con discrezione e molta tranquillità. Ma anche un uomo deluso dal mondo intellettuale che non l'ha mai pienamente accettato come scrittore e che pertanto, come ha dichiarato Roberta, gli causava una punta di dispiacere.

Quando fu colpito dall'ictus avrebbe dovuto fare la sua prima presentazione di "Io Uccido" alla Mondadori di via Marghera. Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita. C’era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi.

Giorgio Faletti scoprì il suo male quasi per caso. Roberta racconta che nel mese di gennaio di quest'anno doveva farsi una risonanza magnetica per controllare un'ernia, visto che aveva da un po' un fastidioso mal di schiena.

La mia reazione? Ho detto solo: ‘Cazzo'. Poi ci siamo presi qualche giorno per decidere che cosa fare, io e lui. Ci hanno consigliato un medico di Los Angeles che lavorava con le eccellenze di tutto il mondo. Ma la nostra decisione di curarci in America era dettata soprattutto dalla necessità di avere un po’ di privacy. Nell'ultimo mese la situazione era precipitata, ha iniziato a non sentirsi più bene…faticava a camminare…a parlare… hanno fatto diversi esami prima di capire che aveva metastasi al cervello. Era il 20 giugno.

Un uomo senza rimpianti nel racconto emozionante di sua moglie:

Mi diceva: “Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l’uomo più fortunato del mondo".

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