Christian De Sica: “Mi vergognavo a fare l’attore, lavoravo come cameriere in Venezuela”
Reduce dal suo ultimo film, Sono solo fantasmi, nel quale ha lavorato spalla a spalla con il figlio Brando, Christian De Sica è tornato a teatro. In scena, a Roma, dopo il successo del suo tour invernale con lo spettacolo Christian racconta Christian de Sica, l'attore ha replicato con due appuntamenti a teatro anche nel nuovo anno l'incontro con il suo pubblico, al quale ha raccontato gli incontri della sua vita e gli aneddoti della sua carriera. Uomo e interprete, nelle vesti del figlio, del padre, dell'artista, con una grande passione per la musica. Christian De Sica sarà ospite alla serata conclusiva del Festival di Sanremo 2020, insieme a Diego Abatantuono, Massimo Ghini, Donatella Finocchiaro e Paolo Rossi. Sul palco dell'Ariston canteranno un brano inciso per il film di Fausto Brizzi ‘La mia banda suona il pop', quindi "parteciperò come cantante!", ha detto lo showman. In un'intervista al Corriere della Sera, De Sica ripercorre le tappe della sua carriera segnata dalla figura del padre, partendo dagli esordi, quando per sfuggire ad una strada che sembrava già battuta, decise di partire per il Venezuela:
Mi vergognavo a fare l’attore, con padre attore e grande regista, e madre attrice (Maria Mercader ndr). Mi sentivo un cane, non volevo fare brutte figure e, siccome avevo una fidanzatina venezuelana, me ne andai dall’altra parte del mondo: conoscevo lo spagnolo grazie a mamma e volevo provare a cimentarmi nelle prime esperienze artistiche lontano da casa per non dover subire ingombranti paragoni. All’inizio, non trovando lavoro, mi adattai a fare il cameriere in un albergo lussuoso, il Tamanaco Hotel di Caracas (…). Fu la conoscenza di un ricchissimo che mi cambiò le prospettive. Renny Ottolina, un produttore radio-televisivo, soprattutto un personaggio molto conosciuto e amato dal pubblico, una specie di Mike Bongiorno. Mi prese in simpatia e mi offrì un contratto da cantante-attore, intrattenitore.
Poi la decisione di rientrare in Italia dopo aver contratto l'epatite, durante un viaggio in Amazzonia, e la scelta di riprendere gli studi:
Mi ero iscritto alla facoltà di Lettere, papà voleva che mi laureassi. Quando gli avevo espresso il desiderio di fare l’attore, mi aveva risposto a brutto muso: sei matto? Per accontentarlo, frequentavo le lezioni di giorno, però di sera di nascosto cominciavo a esibirmi in qualche locale. Ho dato solo 7 esami: due 30 e lode e cinque 30. Per fortuna non ho continuato, sarei stato un laureato fallito.
Il rapporto con Vittorio De Sica
L'attore racconta che aveva 23 anni quando perse sue padre ed è felice di aver intrapreso il mestiere prima della sua scomparsa, facendosi strada da solo. Ricorda col sorriso i primi tempi in cui, fidanzato con Silvia Verdone, la paga delle prime apparizioni cinematografiche non bastava nemmeno per pagare l'affitto. Poi arrivò il primo contratto con Carlo Vanzina e festeggiò dicendole: "D'ora in poi mangeremo bene". E alla domanda se il padre Vittorio avrebbe criticato i suoi cinepanettoni, risponde:
Assolutamente no. Lui pure ha iniziato la carriera con film comici come Un garibaldino al convento, pellicole di cassetta, tipo Pane amore e Andalusia, oppure film con Maurizio Arena… Secondo me gli sarebbe piaciuto un mio successo come Natale sul Nilo. I cinepanettoni hanno descritto l’Italia di oggi molto meglio di altri film autoriali che nessuno ha visto. Il fatto è che nel nostro Paese il successo non ti viene perdonato: se non sei brutto, se hai una bella famiglia, e fai pure soldi al botteghino è troppo! E pensare che io non sono mai stato uno che se la tira. L’umiltà è l’insegnamento più importante avuto da mio padre, che ha vinto 4 Oscar, ma io ho vinto 32 Biglietti d’oro.
Il rapporto con suo padre e la sua fama non è stato certo facile, ma Christian De Sica parla di suo padre come un uomo qualunque, che non ha mai fatto pesare il suo successo di artista, anche in famiglia:
Quando stava a casa era un borghese tranquillo come tanti. Se gli chiedevamo qualche curiosità sugli attori che dirigeva in quel momento sul set, rispondeva “per carità! non mi far parlare della Loren, della Lollobrigida, di Mastroianni…”. Un padre severo, questo sì, un uomo nato nel 1901, teneva molto alla nostra educazione: a tavola non si dicevano parolacce, ma non faceva sentire il suo peso di artista internazionale. Mi sono reso conto della sua importanza al funerale: una marea di gente al Verano che gli rese omaggio e alla fine un lungo applauso. Anche da morto faceva spettacolo. Peccato averlo potuto frequentare poco: l’ho conosciuto che aveva già i capelli bianchi. Quando mio fratello e io eravamo piccoli non giocava con noi, non ci portava sulle giostre o al lunapark, semmai ci faceva recitare, a casa, in scenette davanti agli amici.
Tra gli aneddoti di casa De Sica, l'attore ricorda quella visita inaspettata di Charlie Chaplin:
Per esempio quella volta che venne a casa Charlie Chaplin e, assieme a mamma, aspettavamo papà. Avrò avuto 5-6 anni e il grande Charlot, già anziano, per intrattenermi nell’attesa, giocava con la sua bombetta. Io non sapevo chi fosse e, quando arrivò mio padre, gli dissi “c’è un vecchio scemo che gioca col cappello!”.
L'incontro con Carlo Verdone
Difficile prevedere che un giorno avrebbero calcato entrambi la scena della commedia italiana. Christian De Sica frequentava Silvia Verdone, poi diventata sua moglie e oggi produttrice cinematografica. A quei tempi, l'amicizia con il fratello Carlo nasceva tra i banchi di scuola:
Io ero stato precedentemente bocciato e quando entrai nella sua classe, tutti mi guardavano male: essendo figlio “di”, mi consideravano antipatico. Ma vidi Carletto che era seduto da solo al banco e così gli proposi: “se mi fai sedere accanto a te, ti passo tutte le versioni di greco già tradotte”. Affare fatto, e diventammo amici inseparabili.