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Giulio Andreotti e Livia Danese, un amore rimasto in disparte

Giulio Andreotti chiese a Livia Danese di sposarlo in un cimitero. Un’affinità spirituale, così ha sempre definito il rapporto con la “marescialla”, con cui ha vissuto un amore lungo 60 anni.
A cura di Laura Balbi
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E' di poche ore fa la notizia della morte di Giulio Andreotti, il senatore a vita che ha segnato gran parte della vita politica italiana degli ultimi 40 anni. Quasi in tempo reale dopo la diffusione della notizia è arrivata la conferma dei familiari, che hanno già stabilito per domani i funerali a Roma. La vita pubblica di Andreotti è costellata da decine di ricordi e riferimenti, che resteranno vivi anche dopo la sua scomparsa, mentre è la sua vita privata che è rimasta nell'ombra in tutti questi anni. Di lui si è sempre saputo pochissimo; un'infanzia difficile, segnata dalla scomparsa prematura del padre e di una sorella giovanissima, una vita di sacrifici prima di intraprendere la strada politica. Ai tempi del liceo conobbe Livia Danese, la donna che sarebbe rimasta al suo fianco per tutta la vita. Una signora di cui si sa poco, schiva e riservata dinnanzi a un'immagine pubblica che troppo spesso l'ha etichettata come "first lady", un appellativo che non ha mai sentito suo.

L'amore tra Giulio e Livia ha resistito a tutto, ai fasti di un tempo e alle vicende giudiziarie rimaste irrisolte. Un amore durato 60 anni, nato sui banchi di scuola e mai appassito nel tempo. Giulio Andreotti ne ha parlato di rado, definendo la loro "un'affinità spirituale" nata in circostanze singolari, mentre pregavano sulla tomba di un amico in comune. Da quel macabro incontro mai un addio, mai un litigio reso noto ai curiosi. Il matrimonio nel 1945 e la nascita di quattro figli, due maschi e due femmine di cui si sa ancora meno. A raccontare la storia con Livia un'intervista a Enzo Biagi, in cui Andreotti dichiarò:

Ha un lieve brontolio ma, insomma, adesso ci siamo abituati, da una parte e dall’altra. A mia moglie sono debitore dell’educazione dei figli che per il novantanove per cento è merito suo.

Proprio quell'educazione di ferro data ai figli valse a Livia il soprannome di "marescialla" una donna tutt'altro che fragile. In un'altra occasione recente Andreotti disse:

Sono soddisfatto della mia vita coniugale… la casa è stata tenuta benissimo. Livia è stata anche un correttivo al mio disordine. Se lascio un po’ di confusione sul tavolo di lavoro, lei lo mette in ordine. Potevo sperare di più? Livia non si è impicciata di politica… Quando ero ministro degli Esteri ed era costretta a seguirmi in qualche viaggio non era affatto contenta. In casa il bastone di comando lo tiene lei, anche per mia vigliaccheria. Non ho mai sgridato un figlio perché non potevo permettermi di essere, oltre che assente, anche cattivo.

Livia Danese è rimasta in disparte dalla vita politica, ovvero la fetta più impegnativa dell'esistenza del "divo Giulio"; così com'è rimasto in disparte il loro amore, riservato e relegato alla vita privata. Quelle poche parole nel corso degli anni e il commento di Enzo Biagi, che spiega a pieno il carattere dimesso del senatore, dotato di una calma serafica e ereditaria:

 Non credo che nessuno lo abbia mai sentito gridare, né visto in preda all'agitazione. «Una cara zia» confida «mi ha insegnato a guardare alle vicende con un po' di distacco.» Legge romanzi gialli, è tifoso della Roma, e si compera l'abbonamento, frequenta le corse dei cavalli, è capace di passare un pomeriggio giocando a carte, e l'attrice che preferiva, in gioventù, era la bionda Carole Lombard, colleziona campanelli e francobolli del 1870 […] Padre di quattro figli, ha la fortuna che la sua prole tende a non farsi notare. E neppure la signora Livia, la moglie, di cui non si celebrano né gli abiti né le iniziative. Non c'è aneddotica sulla signora Andreotti.

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