“Hormoz Vasfi non è stato denunciato per stalking da Sara Croce”
Giuseppe Iannaccone, avvocato di Hormoz Vasfi, ci scrive per rettificare quanto scritto in merito alla vicenda che l'ha visto protagonista insieme alla modella Sara Croce. Pubblichiamo integralmente la sua missiva che chiarisce riguardo alla supposta "denuncia per stalking" da parte della Croce, in realtà mai pervenuta.
Spettabile Società e Gentile Direttore, con riferimento alla vicenda in oggetto, per conto del mio assistito, il dott. Hormoz Vasfi, scrivo la presente per significarVi quanto di seguito. Dopo la notifica dell'atto di citazione con cui il mio assistito ha convenuto la ex compagna Sara Croce dinanzi al Tribunale di Pavia, sono stati pubblicati su Fanpage.it, in data 20 e 23 ottobre 2020, due articoli intitolati: "Sara Croce denunciata dal magnate suo ex: «Voglio un milione di euro, stava con me per soldis" e "Sara Croce sull'ex Hormoz Vassi che l'ha denunciata: «Mi sento spiata, è stato orrendo". I predetti articoli, a tacer del resto, sono disseminati di plurimi riferimenti ad una denuncia per stalking che avrebbe presentato Sara Croce nei confronti del dott. Vasfi. Nell'articolo del 20 ottobre 2020, vengono riportate le dichiarazioni attribuite al legale di Sara Croce in merito all'intervenuto deposito da parte della sua assistita di una denuncia per stalking nei confronti di Hormoz Vasfi, in ragione dei 450 messaggi ricevuti in 22 giorni dalla madre e dallo zio della ragazza. Nell'articolo del 23 ottobre 2020, si legge: "Lei sn.d.r., Sara Croce), che l'ha denunciato per stalking, replica con parole durissime contro l'ex" […]; e ancora: "la Croce ha denunciato Vasfi per stalking, accusandolo di aver perseguitato con 450 messaggi in 22 giorni la madre e lo zio della modella, Bonas di Avanti un altro ed ex Madre Natura di Ciao Darwin.
Ebbene, la notizia di una denuncia per stalking è totalmente destituita di fondamento e gravemente lesiva dell'immagine e della reputazione del mio assistito. Difatti, non è mai stata depositata alcuna denuncia per stalking da Sara Croce nei confronti del mio assistito. Purtroppo, la dedotta pendenza di un procedimento penale per stalking riportata dalla Vostra, come da altre testate, è stata poi ripresa da innumerevoli testate giornalistiche e data per presupposta anche in programmi televisivi con rilevantissimo seguito di pubblico. Ed è quasi superfluo ricordare la gravità del reato – lo stalking – per cui in ipotesi il dott. Vasfi sarebbe stato sottoposto ad indagine e di cui si stava dando notizia ai lettori. Si tratta di un reato pesantemente punito dal Codice Penale e potenzialmente idoneo a giustificare l'adozione di misure cautelari personali nei confronti dell'indagato. A tacere della ben nota e comprensibile stigmatizzazione sociale che ricade in capo a chi sia anche solo sottoposto ad indagini (e non ancora condannato con sentenza definitiva) in relazione a tale delitto. Dunque, una situazione che avrebbe dovuto imporre prudenza e scrupolo nella divulgazione della notizia che è, invece, del tutto mancata. E così la Vostra testata, alla platea dei propri lettori, ha presentato come già avvenuto un fatto inesistente in rerum natura e quindi inveritiero. In definitiva l'articolo in questione viola pacificamente i limiti del diritto di cronaca per ciò che concerne la presunta denuncia di stalking. Come noto, i criteri in base ai quali l'esercizio del diritto di cronaca può prevalere sul diritto alla riservatezza e all'onore del soggetto protagonista della notizia, sono la continenza, la pertinenza (o pubblico interesse) e la veridicità dell'informazione. Nel caso di specie è certamente stato violato il limite della veridicità e di conseguenza quello della pertinenza (o pubblico interesse). Il limite della veridicità assume una duplice accezione relativamente alla pubblicazione della notizia: il giornalista deve infatti garantire non solo che il fatto sia vero, o quantomeno ragionevolmente vero rispetto alle fonti da cui proviene ma anche che questo non sia stato esagerato nel resoconto delle circostanze effettuato da lui o da terzi. Il giornalista è quindi sempre chiamato a verificare la fondatezza delle informazioni, sia quando sono state da lui stesso ricavate, sia quando gli sono state riferite da un terzo. In questo secondo caso è necessario che il giornalista non si limiti a ricevere passivamente la notizia, ma si attivi nell'accertamento dell'attendibilità dei fatti lui pervenuti secondo i doveri di correttezza che la sua professione gli impone. E' quindi legittimo l'esercizio del diritto di cronaca quando sia riportata la verità oggettiva (o anche solo putativa), purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti. E' evidente come nel caso di specie il requisito della veridicità sia stato pienamente violato dalla condotta della giornalista che, peraltro, non è stata sottoposta al benché minimo controllo da parte del Direttore Responsabile, condotte che risultano pacificamente censurabili alla luce dei principi di diritto elaborati dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza resa dalle Sezioni Unite il 16 ottobre 2001, n. 37140, imp. Galliero.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la condotta del giornalista e del Direttore responsabile della testata, che pubblicando il testo di un'intervista vi riportino, anche se "alla lettera”, dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non sono scriminate ex se dall'esercizio del diritto di cronaca, in quanto sul giornalista incombe, pur sempre, il dovere di controllare la veridicità delle circostanze e la continenza delle espressioni riferite. Al contempo la sentenza ha chiarito che la condotta del giornalista è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sé dell'intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono state rese, presenti profili di interesse pubblico all'informazione, tali da prevalere sulla tutela della dignità e decoro del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca. Come si legge nella pronuncia,"… la dichiarazione di un Capo di Stato, di un leader politico o sindacale, di uno scienziato di indubbia fama, essendo idonee ad orientare la pubblica opinione nei rispettivi campi, devono, pertanto, ritenersi meritevoli di essere pubblicate, atteso che tanto più è elevata la posizione sociale dell'intervistato, maggiore risulta l'interesse del pubblico ad essere informato del suo pensiero, e ciò indipendentemente dalla veridicità dei fatti narrati o dalla intrinseca offensività delle espressioni usate”. E continuano le Sezioni Unite: "il giornalista che pubblica un'intervista prescindendo dal controllo delle veridicità del suo contenuto, deve perciò essere sicuro della posizione di alto rilievo dell'intervistato e dell'interesse della collettività ad essere informata del suo pensiero sull'argomento che forma oggetto dell'intervista medesima”. Certamente, il caso considerato non è quello di specie. L'assenza della veridicità dell'informazione, travolge, inevitabilmente, il requisito del pubblico interesse alla divulgazione dell'informazione, posto che non vi può essere alcun interesse della collettività rispetto ad una notizia priva di fondamento. Alla luce di quanto sopra, la condotta contestata ha evidentemente cagionato un illegittimo e gravissimo danno alla reputazione e all'immagine del mio assistito, che per mesi è stato additato dalla stampa, anche internazionale, e dalla televisione quale stalker; e ciò sulla scorta dell'esistenza di un procedimento penale in realtà inesistente, di cui la Vostra testata ha dato indebitamente conferma. Il danno subito ha senza dubbio una connotazione di carattere non patrimoniale, quale danno a bene costituzionalmente tutelato, e conferisce al mio assistito un diritto risarcitorio, che con la presente missiva, controfirmata per conferma e presa visione dal mio assistito, formalmente si esercita. Con riferimento alla quantificazione del danno, è doveroso sin da ora osservare che una liquidazione dello stesso -necessariamente equitativa- dovrà tenere conto (i) della gravità della fattispecie di reato illegittimamente attribuita al mio assistito (stalking); (ii) della dimensione pubblica dell'immagine del mio assistito; (ii) dell'enorme risalto mediatico dato alla vicenda in oggetto e a tutte le sue sfaccettature, imputabile al fatto che numerose e notorie testate, quali la Vostra, hanno diffuso una notizia falsa, ripresa poi da decine di altre testate nazionali e locali, da primarie trasmissioni televisive nazionali e, da ultimo, riproposta su numerosi siti internet. Ma il danno subito dal dott. Vasfi in ragione di condotta sopra contestata non ha solo un risvolto non patrimoniale; ha anche un profilo prettamente patrimoniale.
Si consideri che, per motivi di lavoro, il dott. Vasfi è chiamato ad entrare in contatto con persone che non conosce, dislocate nei cinque continenti. La chiusura di un'operazione dipendono dalle relazioni che il mio assistito riesce a intessere con i propri interlocutori e sulla fiducia che negli stessi riesce ad ispirare. E' chiaro che, in questi ambiti, la reputazione è tutto. E se la sfera professionale non è in discussione, quella personale è stata invece pesantemente minata dalla spiacevole vicenda in esame. Semplicemente digitando sulla stringa di ricerca di google nome e cognome del dott. Vasfi, si può avere accesso a tutti i contenuti gravemente lesivi dell'immagine personale del mio assistito, agevolmente traducibili in tutte le lingue con l'uso di google translate. La compromissione dell'immagine connessa alla sfera personale del mio assistito è ormai permanente e non più regredibile, atteso che le notizie sulla pendenza di un procedimento per stalking sono ormai state da tempo diffuse in rete. In quest'ottica, è possibile che si configuri anche un c.d. danno da perdita di chance, laddove, proprio in ragione della compromissione dell'immagine digitale” del dott. Vasfi, il mio assistito non dovesse riuscire a concludere una o più transazioni commerciali, perdendo così la possibilità di incassare le relative commissioni. Senza dimenticare anche il diritto del mio assistito, che ivi esercita, ad ottenere, in aggiunta al risarcimento del danno sopra delineato, anche il pagamento di una somma "a titolo di riparazione”, ai sensi dell'art. 12 della Legge 47 dell'8 febbraio 1948, dai responsabili della condotta diffamatoria, ivi compreso il Direttore della testata. Lo Scrivente si riserva sin d'ora di adire l'Autorità Giudiziaria competente per la tutela dei diritti del dott. Vasfi in qualsivoglia Sede. Valga la presente quale atto di diffida e costituzione in mora ad ogni effetto di legge. Distinti saluti
Giuseppe Iannaccome