Perché i post sui social di Belén e Chiara Ferragni non saranno più gli stessi
Un tempo il problema della pubblicità occulta era solo della tv, oggi vale soprattutto per social e web. Resta memorabile, l‘accusa di Striscia La Notizia ad Adriano Celentano (correva l'anno 1999), accusato dal tg satirico di Antonio Ricci di fare pubblicità occulta ad una nota marca di acqua minerale durante il suo show su Rai1 "Francamente me ne infischio". Celentano aveva l'abitudine di tenere una bottiglia d'acqua sul tavolo mentre conversava con i suoi ospiti, bottiglia la cui etichetta, casualmente, pareva sempre a favore di inquadratura.
Oggi il problema da risolvere è quello dei post sui social da parte dei vip, ad esempio Chiara Ferragni, Belén, o chiunque sponsorizzi prodotti postando foto sui social. Ad occuparsene è il ddl concorrenza, disegno di legge approvato alla Camera, con un ordine del giorno attraverso il quale si impegna il Governo ad intervenire "affinché l'attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco quali interventi realizzati all'interno della rete internet costituiscano sponsorizzazione". L'obiettivo, spiega l'AgCom che ha sollecitato la macchina statale ad occuparsi di questo aspetto, è che "accanto ad ogni foto sponsorizzata, compaia sempre una didascalia che informi correttamente del carattere promozionale del messaggio".
Cos'è la pubblicità occulta
Detto in termini pratici, il Governo dovrà fare in modo da obbligare un personaggio pubblico che stipula un accordo con un'azienda per sponsorizzarne i prodotti sui social, a segnalare che quella foto non sia spontantea, non un momento di vita vissuto, ma uno scatto realizzato appositamente per fare pubblicità. Da dizionario, in effetti, occultare qualcosa vuol dire "impedire di vedere interponendosi tra l'osservatore e l'oggetto". E il pericolo, per i consumatori, è proprio che il racconto della vita privata dei vip sui social faccia da schermo alle sponsorizzazioni e non permetta di distinguere le pubblicità da semplici immagini quotidiane. D'altronde, è facile che il messaggio, anche se non perepito come vera e propria pubblicità rischia di raggiungere il suo scopo in egual modo, anzi forse in maniera più diretta e profonda, proprio perché non c'è un alert.
Le novità sui post dei vip
Ma non si deve incappare nell'errore di credere che televisione e web siano la stessa cosa ed è per questo che, in Italia, si è dovuto invocare l'intervento della legge. Quando parliamo di tv parliamo di editori che, da tempo, rispettano un comunce codice di autodisciplina rispetto alla pubblicità, avvertendo i telespettatori di un eventuale messaggio pubblicitario presente nelle trasmissioni o fiction. Internet, al contrario, è un contenitore libero, in cui senza un normativa risulta più complesso regolamentare questo aspetto. Ecco perché si presume che la soluzione sarà quella di imporre ai personaggi di una certa rilevanza una aggiunta in didascalia ai loro post, un hashtag che specifichi si tratti, appunto, di una pubblicità.
Il caso dell'Inghilterra
In altri paesi la questione è stata affrontata tempo fa, quando le cifre spese per sponsorizzare contenuti web hanno superato di gran lunga quelle televisive. Eloquente il caso dell'Inghilterra, dove il passo è stato fatto grazie alla capacità di influenza dell'agenzia Asa, authority per la pubblicità, che ha sopperito ai vuoti normativi imponendo, di fatto un codice di autodisciplina che vuole l'aggiunta in didascalia di hashtag come #ad o #sp (Chiara Ferragni, che ha rapporti con aziende internazionali, ha già iniziato a utilizzarli da qualche settimana). L'agenzia applicando un controllo fittissimo dei contenuti pubblicati da personaggi di una certa rilevanza dal punto di vista pubblico. Nessuno è obbligato a specificarli, ma la potenza dell'Asa fa sì che una mancata osservazione del codice, puntualmente contestata, rischia di avere un effetto pubblicitario negativo. Come accadde al calciatore Wayne Rooney, richiamato dall'Asa nel 2015 per non aver reso sufficientemente chiaro, a livello pubblico, il suo accordo commerciale con una nota azienda di abbigliamento sportivo.