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“Ci vediamo appena finita la terapia”, le commoventi parole tra Sabrina Paravicini e il figlio Nino

L’attrice Sabrina Paravicini, nonostante la stanchezza provocatale delle cure per tumore al seno scopertole a dicembre 2018, di cui lei stessa parla sul suo profilo Instagram, è impegnata nelle riprese del documentario B33. Un lungometraggio nel quale parla della sua malattia, come aveva già fatto con BeKind, il docufilm dedicato alla sindrome di Asperger di cui è affetto il figlio, con il quale ha un rapporto simbiotico.
A cura di Ilaria Costabile
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Sono ormai poco più di sette mesi che l'attrice Sabrina Paravicini ha scoperto di avere un tumore maligno al seno. La sua sofferenza è diventata una battaglia, l'ingranaggio per iniziare un percorso, non solo di guarigione, ma anche un percorso creativo. L'ex protagonista della fiction "Un medico in famiglia" ha deciso di raccontare la sua malattia all'interno di un documentario, B33, nel quale racconta questo viaggio doloroso, che la porta spesso lontana da suo figlio, affetto dalla sindrome di Asperger, per il quale aveva lasciato momentaneamente il lavoro.

Il simbiotico rapporto con il figlio

Oltre al suo impegno costante nel documentario, Sabrina Pallavicini è solita informare i suoi fan attraverso una serie di post sul suo profilo Instagram, sul quale documenta tutta la sua lunga battaglia. Tra le ultime foto pubblicate ce n'è una che la ritrae proprio con il figlio Nino: un collage con alcuni momenti trascorsi insieme, affiancato da un botta e risposta tra i due di una tenerezza disarmante. Il tredicenne sente la mancanza della mamma, che potrà rivedere solo dopo la terapia in ospedale, e poi aggiunge: "Posso dirti una cosa mamma? Grazie per il tuo sostegno”. Un messaggio commovente nel quale emerge tutta la dolcezza del rapporto tra madre e figlio, un legame simbiotico che combatte contro la spietatezza di un male così grande da gestire. Un dolore che, nonostante tutto, non va ad inficiare, nell'immaginario del ragazzino, il ruolo della mamma che, nonostante la stanchezza e la sofferenza, continua a dargli forza.

Già autrice del documentario BeKind

Sabrina Paravicini di forza ne ha da vendere, sebbene non si censuri nell'esternare i suoi stati d'animo, la sua debolezza data dai farmaci, e nemmeno il documentario di cui è autrice sarà privato di queste sensazioni. L'attrice aveva già realizzato un documentario, inerente la malattia del figlio, dal titolo BeKind, nel quale aveva raccontato il percorso attraverso la malattia, cercando di accompagnare lo spettatore alla scoperta della diversità. È la stessa idea alla base di B33, la stessa necessità di parlare in maniera approfondita di un mondo che forse non si conosce mai abbastanza.

Gli ultimi scatti sul suo profilo Instagram riprendono proprio alcuni momenti di questo progetto: la prima immagine ufficiale del documentario vede la Paravicini galleggiare in un'immensa distesa d'acqua. L'attrice ha commentato così questo momento, per lei particolarmente emozionante:

Ieri è stato anche il mio primo bagno in mare. Ho pianto per l’emozione mentre le gambe, le braccia, l’intero corpo si lasciavano andare alla dolcezza dell’acqua. Ogni secondo di vita è un dono. Ero così emozionata che stanotte non ho dormito fino alle alle quattro.

La scelta di parlare della malattia

Il documentario B33 è nato con la necessità di suscitare delle riflessioni, di soffermarsi su quanto ci accade nella vita e sul sia influente il nostro libero arbitrio su ogni avvenimento. Anche la malattia va affrontata, anche la malattia può essere sinonimo di vita, bisogna campirne le ragioni per combatterla, bisogna essere pronti a cambiare, ad affrontare la crudeltà del dolore che, in modi diversi, ognuno di noi incontra sul proprio cammino. Ed è quanto emerge dalle ultime parole pubblicate dell'attrice, corredate da uno scatto sul set:

Abbiamo la responsabilità di quello che ci accade, possiamo decidere di farne quello che vogliamo. Quando mi hanno detto che avevo un tumore maligno la prima cosa che ho pensato è stata che non era possibile, la seconda cosa che ho pensato è stata: “meglio a me che a chiunque altro della mia famiglia”. Sapevo che potevo sopportarlo, affrontarlo. La terza cosa è stata che dovevo capire il senso di quel male. E il senso era la trasformazione, consegnare agli altri un’esperienza. E allora ho deciso subito di girare il documentario su questa esperienza. Ci sono i momenti duri, i capelli che mi rimanevano in mano, la testa nuda, le notti insonni in cui non respiravo più e altri momenti insieme a Nino più dolci, alcuni anche divertenti, ci sono persone che ho incontrato, qualche compagno di chemio e ci sono io in bilico tra paura e coraggio, come tutti noi nelle nostre vite.

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