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Ermal Meta, l’infanzia in Albania e il rapporto con il padre violento

Dalla vita privata del cantautore emerge la storia delle sue origini albanesi, la sua infanzia difficile e i racconti di un padre assente, a tratti violento. La sua storia traspare dai testi delle sue canzoni, nelle quali si racconta senza troppi filtri. Prima fra tutte, Lettera a mio padre, brano autobiografico che racconta la ribellione di un figlio agli abusi del padre: “È uscito dalla mia vita nel 1990, non lo vedo da 28 anni”.
A cura di Giulia Turco
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Ermal Meta è tra i cantautori più apprezzati della musica italiana: terzo a Sanremo 2021 con il brano ‘Un milione di cose da dirti', alle spalle ha già una vittoria al Festival, quella del 2018 al fianco di Fabrizio Moro. Della sua vita privata incuriosisce la storia delle sue origini albanesi, la sua infanzia difficile e i racconti di un padre assente, a tratti violento. La sua storia traspare dai testi delle sue canzoni, nelle quali si racconta senza troppi filtri. Prima fra tutte, Lettera a mio padre.

L'infanzia in Albania e il rapporto con il padre violento

Ermal Meta arriva in Italia con le idee ben chiare, spendo che avrebbe fatto musica. Dell'infanzia in Albania ricorda lo studio del piano, iniziato a sei anni: "In Albania erano severi, ti bacchettavano quando sbagliavi. Visto che ero molto ribelle, non ci andai più. Ho ripreso a suonare a 18 anni", ha raccontato in un intervista a Verissimo a maggio 2018. Ben presto per lui la musica diventa uno strumento per sfuggire ad un ambiente che gli sta stretto: "Ero un bambino ribelle. Mia madre capì che la mia vita sarebbe stata condizionata dalla disobbedienza. Quando vivi in un determinato contesto, è difficile immaginare di poter fare qualcosa di diverso. Io sapevo che cosa non sarebbe stato di me". Ermal Meta ha raccontato la scelta di lasciare l'Albania "per cambiare vita. Io e mia madre lo abbiamo deciso insieme, mio padre non viveva più con noi". Del padre parla spesso, più tramite le sue canzoni che ai giornalisti. Il padre è ancora oggi una figura assente, non sono mai riusciti a costruire un rapporto: "È uscito dalla mia vita nel 1990, non lo vedo da 28 anni. Era assente anche quando c'era. Non ci parlavo neanche quando era in casa. Ho scritto una canzone, Vietato morire", che racconta la ribellione di un figlio agli abusi del padre.

La canzone "Lettera a mio padre"

"Tutti hanno capito la funzione catartica di "Lettera a mio padre" e forse per questo non ne abbiamo parlato tanto, non ce n'è stato bisogno". Il brano del 2014 è un racconto autobiografico, un messaggio rivolto al padre, figura che ha definito violenta, del quale oggi non conserva nulla se non il cognome. Con quel brano ha provato a tornare a Sanremo, senza successo: "forse era davvero troppo forte, ma una canzone deve essere così, la musica deve emozionare", ha detto a Tv Sorrisi e Canzoni nel 2016.

Il rapporto con la madre

Sua madre è stata un punto di riferimento nel suo percorso di crescita. Era una grande violinista, ma nel frattempo "ha fatto la lavandaia, l’assistente ai malati in ospedale, la colf, ha fatto tante cose bellissime per me", ha spiegato a Silvia Toffanin nel 2018. Svelando un aneddoto: "Volevo una tastiera ardentemente ma non potevo permettermela. Un giorno tornai a casa e mia sorella mi accolse con un ghigno. Andai in camera mia e trovai la tastiera. Mi sono sentito malissimo perché mia madre non poteva permetterselo e aveva acceso un finanziamento. Mi viene da piangere ancora adesso". Fino a quando a 13 anni, insieme a sua madre e a sua sorella, è partito per l'Italia: "Sono stato accolto benissimo da tutti, sono molto fortunato", ha raccontato nel 2017 a Vanity Fair.

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