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Renato Zero: “Vivevo in maniera traumatica, uscivo nascosto nel furgone della lavanderia”

Renato Zero racconta gli esordi traumatici della sua carriera: “Uscivo nascosto nel furgone della lavanderia. Ho ottenuto una tregua con il mio pubblico”.
A cura di Stefania Rocco
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Non ha sempre vissuto bene il successo Renato Zero, almeno non se rapportato a quegli eventi che si verificano quotidianamente nella vita dei personaggi famosi. Con oltre 30 anni di carriera alle spalle, l’artista è stato costretto a venire a patti con gli aspetti della notorietà ai quali è meno interessati, non prima però di aver chiesto una “tregua” al suo pubblico. Intervistato da “Tv Sorrisi e Canzoni”, Renato racconta quel periodo, tra i più difficili della sua vita:

Per alcuni anni della mia vita il successo l’ho subito in maniera traumatica. Ma ho trovato il coraggio di parlare al mio pubblico e abbiamo ottenuto questa “tregua”. Dagli Anni 80 ai 90. Per una decina d’anni sono spesso uscito di casa nascosto nel furgone della lavanderia: i miei amici della tintoria mi offrivano passaggi garibaldini. Non solo per muovermi senza avere occhi indagatori addosso, ma anche perché quando uscivo con la macchina e mi venivano dietro con i motorini, pur di starmi accanto passavano col rosso, correvano: io rischiavo pure di avere sulla coscienza quei ragazzi.

Il rapporto con i fan, gli stessi ai quali chiedeva spazio, si è modificato con il tempo:

Si è modificato nel tempo. Abbiamo cercato di trovare un equilibrio: il pubblico ha compreso la mia necessità di avere spazio e di non essere imbrigliato in un’isola che dovrebbe essere felice ma che può diventare punitiva.

La vita “da seminarista” in tour

Impegnato in giro per l’Italia con l’Alt Tour, Renato è soddisfatto. Sa di essere riuscito ad accontentare quanti lo seguono da sempre, con date che fino a oggi hanno fatto registrare il “tutto esaurito”. In tour Renato si concentra, addirittura facendo una vita “da seminarista”:

Prima di salire sul palco faccio un’ora di training autogeno: non devo vedere né parlare con nessuno. Mi serve quel tempo per cancellare la lavagna e riscriverla. Io non amo replicare: ogni sera canto quella stessa canzone, ma rivisitandola con stimoli e atteggiamenti diversi. La mia vita in tour è da seminarista. Ho molti amici sacerdoti, li osservo e mi sembra che abbiano la necessità di tenere a distanza la realtà per essere più obiettivi e servire meglio le anime. Io faccio la stessa cosa: cerco di rilassarmi, di non avere grandi contatti con l’esterno. I miei cari sanno che quando sono in tournée preferisco essere io a contattarli piuttosto che ricevere chiamate che interrompano i miei momenti di riflessione. Soprattutto quelli durante il viaggio tra una città e l’altra.

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