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“Troia, Dio punisca te e i tuoi figli”, Francesca Barra denuncia gli autori degli insulti sul web

La giornalista dice basta all’odio sul web e denuncia un funzionario pubblico della regiona Basilicata, autore di insulti rivolti a lei, ai suoi figli e al compagno Claudio Santamaria, che pubblica un video in cui chiede che si vieti a queste persone il diritto di esprimere la propria opinione sui social.
A cura di Andrea Parrella
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Insulti pubblici sui social a Francesca Barra, ai suoi figli e a Claudio Santamaria. La giornalista non ci sta più e decide di denunciare, facendo nomi e cognomi e chiedendo conto alle istituzioni. In soldoni è accaduto questo negli ultimi giorni e si tratta di una vicenda tremendamente simile a molte altre che sentiamo raccontare ogni giorno, rigurgiti di odio di cui potremmo trovarci vittime noi stessi o le persone a noi vicine, senza possibilità di difesa.

Francesca Barra ha deciso di denunciare, e dunque affidarsi alla legge, esponendosi pubblicamente dopo aver ricevuto insulti terribili sui social network, rivolti non solo alla sua persona, ma anche ai suoi tre figli. L'elemento scatenante sarebbe proprio la sua relazione con Claudio Santamaria iniziata da pochi mesi dopo una dolorosa separazione (molti attacchi sono comparsi in commento a una foto dei due insieme), ma sottolinearla finirebbe per spostare l'attenzione dal fulcro della storia, ovvero l'assurdità e, contemporaneamente, la violenza di questi attacchi,

Gli insulti a Francesca Barra

"Troie come te vanno arse vive. Non venire mai nella mia Sicilia puttana", "Che Dio punisca te e i tuoi figli". Sono tanti i commenti che la giornalista ha riportato su Facebook e che l'hanno spinta a rompere il silenzio e iniziare a raccontare quanto stesse accadendo. Ma non si è limitata alla denuncia sulla piazza pubblica dei social network, bensì ha deciso di agire per vie legali con una denuncia per diffamazione, avendo come punto di riferimento l'identità di uno degli autori degli insulti, un funzionario della Regione Basilicata. Francesca Barra afferma di conoscerne nome e cognome e di aver fatto partire una denuncia nei suoi confronti:

Volevo segnalare un funzionario della regione (Basilicata) che questa estate mi ha diffamata pubblicamente su Facebook. Ha commesso un reato di diffamazione, coinvolto i minori (i miei figli) in post volgari. Quindi mi chiedo: la Regione lo può sollevare dal suo ruolo? Caro Presidente Marcello Pittella, puoi darmi una risposta? Non è rischioso affidargli un ruolo di fiducia?

Il video di Claudio Santamaria

A fare eco alla giornalista lucana si aggiunge il compagno, Claudio Santamaria. Indignato e visibilmente provato da quanto accaduto, l'attore pubblica un video su Instagram in cui chiede che gli autori degli insulti vengano perseguiti dalla legge e che a questi venga interdetto l'accesso, così come la possibilità di esprimere la propria opinione, sui social. Non solo, Santamaria fa anche il nome del funzionario, ribadendo la richiesta di Francesca Barra alla regione di prendere provvedimenti e verificare se i commenti offensivi alle foto e i post della giornalista siano stati pubblicati durante l'orario di lavoro.

La Regione Basilicata avvia un'indagine interna

Puntuale è stata la risposta della regione Basilicata, essendo stato chiamato in causa anche il presidente Pittella. L'istituzione che rappresenta fa sapere dell'avvio di un'indagine interna volta a stabilire se il funzionario in questione, autore del post segnalato da Francesca Barra, abbia scritto da una postazione degli uffici della Regione e se durante le ore di lavoro. L'accusa della giornalista è di aver offeso pubblicamente su Facebook i suoi figli e, fa sapere la Barra, la denuncia sarà estesa anche a quei contatti che hanno cliccato "mi piace" a quello stesso commento.

Gli haters e la questione dell'anonimato sul web

Uno dei temi più discussi degli ultimi mesi è relativo proprio a come la legge possa far fronte al fenomeno dilagante dell'odio espresso tramite i social network e il web. Uno dei punti cruciali della questione, sulla quale si dibatte pubblicamente, è proprio quello dell'anonimato. Molti personaggi pubblici, ad esempio Enrico Mentana, o la giornalista Myrta Merlino con la sua campagna televisiva #Odiolodio, si sono esposti sostenendo che una via per la risoluzione di questo problema potrebbe essere appunto rendere possibile l'identificazione dei soggetti colpevoli di offese e insulti gratuiti. D'altra parte, il tema dell'anonimato è sensibile e delicato, trattandosi al contempo di uno strumento di tutela della libertà d'espressione, specie in quei paesi dove questa non è completamente garantita.

Il caso del giornalista Tommaso Cerno

A fare scuola e fungere da riferimento sulla questione è il caso che ha riguardato il direttore de L'Espresso Tommaso Cerno, minacciato di morte e attaccato con frasi omofobe da un utente nel 2014. A quasi tre anni di distanza, dopo una denuncia, Cerno ha ottenuto che la Procura obbligasse Twitter a fornire i dati dell'utente per svelarne l'identità. Si tratta di un cittadino italiano residente in provincia di Cremona su cui si è successivamente spostata l'attenzione degli inquirenti. In quella circostanza il commento aveva sottolineato quanto questa vicenda potesse avere un ruolo determinante dal punto di vista culturale:

Questa battaglia di civiltà in un momento in cui profili anonimi e troll inquinano la Rete e le sue enormi potenzialità con messaggi di odio, omofobia e razzismo, segna un cambio culturale non tanto per me e per la mia vicenda di singolo quanto per le migliaia di persone che subiscono ogni giorno insulti e offese celati da nomi di fantasia

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